La Milano post Expo è la città “dove non manca niente”, scattante, piena. Soddisfa e nutre, (o almeno ci prova), tutto: gli occhi, la mente, lo spirito, il palato. Milano attira e muove, a volte fagocita. Milano rimane la “città che sale”, il luogo che trasforma. Bramata e necessaria, imperdibile, paradossale.
E lo sappiamo, ce lo ripetevamo sempre con il nostro inglesismo preferito per questa città: Milano è “the place to be”, “il posto giusto”, il “luogo ideale”.
Ma “the place to be” viene anche tradotto da Google translate con “il posto dove stare”. Curiosamente, l’intelligenza artificiale svuota l’espressione del riferimento e del significato più aspirazionali, riempiendola di un altro senso, quello dell’intimità, delle persone, oltre che dell’offerta. “Il posto dove stare” ci piace, perché Milano è anche questo: un luogo che si sceglie e in cui ci si sente a casa, un luogo dove si decide di rimanere, sfidandolo un po’, perché non è facile, ma che prova a renderci felici offrendoci tutto e stimolandoci.
“Il posto dove stare” ci piace anche perché, nella situazione assurda in cui ci troviamo per Covid-19, sembra evocare un po’ anche la determinazione e la forza d’animo. “Stare” si usa infatti per “esprimere il rimanere o il restare in una condizione o in un luogo”; tutti i posti raccontati in questo progetto, simboli di categorie, settori e professioni particolarmente impattati dall’emergenza sanitaria, “stanno”, “resistono”, “hanno fiducia” in una città che sullo stare insieme con cura e in infiniti modi diversi, ha basato tutto.
Il progetto The place to be – “il posto dove stare” nasce con l’idea di rappresentare l’emergenza che in pochi giorni ha fatto precipitare l’intera industria della cultura e dell’intrattenimento milanese in un limbo sospeso tra la vita che si stava vivendo prima del Coronavirus e un domani tutto da inventare.
Nei luoghi iconici della pulsante vita milanese, nei cocktail bar della mixologia più all’avanguardia, nei teatri ricchi di nuove produzioni, nei cinema, nei ristoranti della tradizione o più sperimentali, nei musei sempre in gara per esporre le ultime tendenze, si percepisce ancora l’eco del brulichio umano che fino a un paio di mesi fa animava questi posti.
Un settore importante della vita sociale e culturale della nuova Milano, che veniva celebrata a buon diritto in Italia e all’estero come il nuovo “the place to be”, così sapientemente valorizzato dalle ultime amministrazioni comunali, dai gestori delle attività stesse e così orgogliosamente raccontato e vissuto dagli stessi abitanti della città, improvvisamente risulta freddo, nudo, cristallizzato. Apparentemente agonizzante, ma con un’enorme voglia di urlare a tutti che Milano tornerà ad essere quella che era, e forse qualcosa in più.
Il progetto fotografico di Marco Curatolo vuole rappresentare questi luoghi così come sono adesso, vuoti, abbandonati dal proprio audience in fretta e furia per obbligo e per necessità, spazi dove le relazioni umane sono sorte, si sono intrecciate e consumate. L’unica presenza umana è quella dei proprietari, dei gestori che, nell’oscurità, cercano di trovare una strada per resistere e ripartire. Chi di solito è dietro alle quinte diventa protagonista, chi di solito è istrione acclamato dal proprio pubblico diventa volto solitario.
La luce diventa buio, la folla lascia spazio alla nuda architettura, i mecenati moderni della vita sociale, culturale e ricreativa diventano persone in mezzo a un guado; alla ricerca di un modo per arrivare sull’altra sponda e con la necessità di immaginarsi come questa si presenterà.
La documentazione fotografica verrà accompagnata da una parte redazionale elaborata da Mario Tuccio e composta da brevi spunti tratti da conversazioni con i gestori delle strutture chiuse, per rendere ulteriormente il senso di una catastrofe improvvisa che ha sconvolto la vita di milioni di persone in tutto il mondo e allo stesso tempo dare voce a visioni di ripresa imprenditoriale e culturale.
Come sarà questo nuovo inizio? Ci sarà una consapevolezza diversa? Sarà un’epoca in cui la folla chiassosa farà spazio a una moltitudine ristretta e più ordinata? Si potrà fare cultura e intrattenimento in modo più consapevole? Si riuscirà a fare business dell’intrattenimento con la qualità anziché coi numeri? Milano sarà ancora una volta apripista di un nuovo modo di vivere la socialità?